La tecnologia 'spegne' i cellulari

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I cellulari sono vietati in numerosi istituti scolastici in tutta Italia. Spesso e volentieri in circolari o nei regolamenti didattici si leggono precise norme al riguardo. Alcune vietano l’utilizzo di telefonini e affini negli spazi scolastici, altre vietano di portarli a scuola. C’è però una scuola in Italia che è andata oltre le regole scritte ed è passata direttamente ai fatti, utilizzando la tecnologia e prendendo esempio dai college americani: è il liceo scientifico San Benedetto di Piacenza.

Stop ai cellulari con una custodia

La notizia è già rimbalzata sui principali organi di stampa e televisivi. La soluzione anti cellulare prevede l’utilizzo di una semplice custodia, che però si ‘trasforma’ in una sorta di cassaforte. In pratica, gli studenti, appena entrati in aula, riporranno il cellulare nella singola custodia, bloccata dal docente. Gli alunni potranno tenere custodia e relativo telefonino accanto ma sarà impossibile accedervi. Infatti, la custodia sarà sboccata dai docenti solamente al termine delle elezioni. Un sistema che sicuramente mette fine alla continua diatriba tra studenti e insegnanti sull’utilizzo del cellulare a scuola, sicuramente elemento disturbante delle lezioni. L’obiettivo è anche però un altro: promuovere la socializzazione fra i ragazzi. La scuola del resto è un po’ specchio della società. Quante volte capita di andare in giro per le città e vedere le teste chine sui cellulari? Persino al ristorante le persone stanno sedute attorno a un tavolo ma invece di parlare fra di loro spesso e volentieri chattano al cellulare. In questo lo stop ai cellulari scolastico grazie alla tecnologia potrebbe essere d’esempio almeno per altre realtà, quali ospedali (dove in genere vige il divieto di utilizzo ma dove spesso non viene osservato) o musei. Certo, basterebbe un po’ di buon senso. I cellulari sono utili, è innegabile. Tuttavia, dovremmo imparare a regolare il loro uso. Se imparassimo a usare cellulari (e affini) in modo consapevole non ci sarebbe neppure bisogno di una tecnologia che ‘immobilizzi’ gli apparecchi.


Sara Riboldi

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