Magnago - Mobbing, assolti sindaco ed ex comandante
Il legale dell'ex agente del paese ricorrerà in appello

giustizia

Magnago - Assolti perché il fatto non sussiste sia il sindaco Carla Picco sia l’ex comandante del paese, William Viola. Un ex agente di Polizia locale del paese li aveva denunciati per episodi di mobbing sul posto di lavoro (il reato corrisponde all’articolo 572 del codice penale, maltrattamenti contro familiari e conviventi). Il legale dell’ex agente di Magnago, il noto avvocato penalista Michele Morenghi, annuncia la volontà di ricorrere all’appello.

L’annuncio dell’assoluzione in consiglio comunale

L’annuncio dell’assoluzione è stato dato dalla stessa sindaca, Carla Picco, prima dell’inizio del consiglio comunale di giovedì 24 giugno: “Prima di iniziare l’ordine del giorno, volevo rendervi partecipi di quella vicenda che già conoscete che mi riguardava: la causa che riguardava me e l’ex comandante. Come sapete, qualche anno fa è iniziato tutto ma ieri (mercoledì 23 giugno, ndr) c’è stato finalmente il dibattimento e si è concluso - con grande sollievo - con una assoluzione completa per non aver commesso il fatto sia per quanto i riguarda sia per il comandante Viola. Volevo rendervi partecipi di questo fatto”. Un sospiro di sollievo per la Picco.

I motivi della denuncia

La vicenda processuale iniziò il 10 ottobre 2019, data del rinvio a giudizio. L’ex agente di Polizia locale di Magnago, di cui non faremo il nome per rispetto della sua privacy, aveva denunciato sindaco ed ex comandante per “comportamenti vessatori”, si legge nella sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 23 giugno. In particolare, “turni di servizio particolarmente disagiati e / o in zone esterne, mancanza di adeguato equipaggiamento, apertura di un procedimento disciplinare, da cui era conseguita la sanzione disciplinare, poi annullato dal Tribunale di Busto Arsizio, riguardante la sua partecipazione in uniforme” a un evento di Riccione. La sentenza ripercorre le dichiarazioni della parte civile, di sindaco, ex comandante e altri testi.

Il primo episodio: un controllo

Il primo episodio riportato dall’ex agente riguarda un’attività di controllo durante il quale, l’ex comandante avrebbe ordinato al suo sottoposto “di effettuare un pedinamento di un camion […] con la propria autovettura privata, senza alcun tipo di supporto, in orario notturno”. Nella sentenza si legge che l’ex agente aveva manifestato le sue perplessità e che poi il servizio era stato soppresso. L’ex comandante durante il processo aveva però dichiarato che questo servizio, si legge in sentenza, “avrebbe dovuto essere svolto singolarmente, in orario mattutino e con l’autovettura privata al fine di non destare sospetti”. Inoltre aveva specificato che si trattava di “mera ipotesi organizzativa” e che “alzò la voce ma non insultò”, come invece aveva dichiarato l’ex agente.

La questione dei permessi studio

Altro episodio, i permessi studio all’università. Nella sentenza si riportano anche in questo caso le dichiarazioni dell’agente che “[…] ha spiegato che i permessi gli furono sempre concessi, tuttavia veniva sempre ‘visto male’ per le sue richieste. Inoltre, si sentiva insultato dal Comandante il quale gli diceva che la sua Università non serviva a nulla”. L’ex comandante aveva invece dichiarato che “[…] non sapendo se la normativa relativa alle 150 ore di permesso per motivi di studio fosse applicabile anche agli iscritti delle università telematiche, non riuscì a fornire una risposta immediata […]”. Nel frattempo, l’agente aveva presentato una diffida per essere esonerato dall’attività lavorativa domenicale per motivi di studio.

La questione della partecipazione a una onorificenza

Ancora. Nel 2016 l’agente era intervenuto per porre fine a una rissa, in borghese. Nel 2017 all’agente venne proposta un’onorificenza da parte di un sindacato della Polizia locale, proprio in relazione all’intervento effettuato. “Il Comandante lo informò che non avrebbe potuto accettare alcun tipo di titolo onorifico in quanto non era riconosciuto a livello regionale e gli consigliò di mettersi in ferie […]”. La manifestazione si sarebbe svolta a Riccione. “Il Comandante ordinò per iscritto di non indossare la divisa durante la cerimonia”. L’agente aveva a sua volta dichiarato di aver indossato sono alcuni elementi distintivi e non l’intera divisa. Fatto sta che, dopo tentativi non andati a buon fine di lasciare il comando di Magnago in cui non entreremo nel merito, fu avviato un provvedimento disciplinare per aver violato gli ordini di servizio in merito alla manifestazione di Riccione. Successivamente “il teste ha spiegato che il Comandante non gli rivolse più la parola. […] Il teste notò dei cambiamenti tanto da un punto di vista umano, in quanto non vi era più dialogo, tanto da un punto di vista dei servizi che doveva svolgere […]”. Fra gli esempi riportati dall’agente, ci sarebbe stato anche un posto di controllo da solo in zone di prostituzione e spaccio. L’ex comandante aveva spiegato che la premiazione non fosse istituzionale e che quindi non avrebbe potuto indossare la divisa. Aveva anche dichiarato, si legge, che “non vennero mai assegnate al […] delle mansioni critiche o umilianti”. Per quanto riguarda il servizio antiprostituzione, “[…] esso si sostanziava nel sostare per diverso tempo, esclusivamente di giorno, nella zona frequentata dalle prostitute al solo scopo di farle andare via: il […] svolse detto servizio al massimo due volte, in auto o in moto […]”.

Le posizioni finali

L’agente e parte civile aveva dichiarato in generale che “si sentiva vessata” dall’ex comandante e che iniziò ad avere problematiche di salute come insonnia e altri malesseri citati in sentenza e che non riportiamo per privacy. Di contro, l’ex comandante e il sindaco avevano invece affermato che l’agente non si fosse lamentato di un disagio lavorativo. L’ex comandante ha anche sottolineato che il sindaco non fosse a conoscenza dei turni e della gestione del personale e che aveva rapporti solo con i responsabili dei vari uffici.

Le motivazioni della sentenza

Non entreremo nel merito delle dichiarazioni di altri testi per arrivare alle conclusioni dei giovani. I giudici scrivono che “l’istruttoria non ha fatto emergere chiare condotte vessatorie poste in essere dagli imputati nei confronti della parte civile”. Si legge poi che […] la difesa degli imputati abbia prodotto una serie di variazioni di orario dei turni di lavoro degli agenti, in occasione di determinate manifestazioni, dalle quali si evince come i turni serali venissero distribuiti agli agenti in modo equo. Allo stesso modo, la difesa ha anche prodotto prova del rilascio dei permessi retribuiti per esercitare il diritto allo studio”. Si sottolinea poi che “[…] anche volendo ritenere realmente poste in essere tali condotte, deve evidenziarsi come difficilmente le stesse potrebbero essere qualificate come idonee a causare quel ‘terrorismo psicologico’ richiesto dalla giurisprudenza per ritenere integrato il reato di mobbing. […] Oltre a non risultare provate le condotte vessatorie, […]” manca secondo i giudici anche “il requisito della parafamiliarità del contesto lavorativo in cui si sono svolti i fatti”. Per quanto riguarda il sindaco, la sentenza sottolinea la “[…] sua sostanziale estraneità alle dinamiche quotidiane del Comando di Polizia Locale, frequentato dall’imputata più che occasionalmente. La stessa, inoltre, non era informata […] sui rapporti “ tra l’agente e il suo comandante. Motivi che hanno segnato l’assoluzione.

Le dichiarazioni del legale dell’agente

Ricorrerà in appello l’avvocato dell’agente, il noto penalista Michele Morenghi: “Faremo sicuramente appello. Ancora oggi non si spiega come mai, se il contesto lavorativo era sereno e ottimale, la persona abbia avuto dei problemi sul luogo di lavoro”.


Sara Riboldi

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