Legnano - Prete condannato in primo grado con accusa di aver abusato di un quindicenne
Fissata la data dell'appello.
Parla la madre del giovane

altalena

Fissata al 22 giugno l’udienza del secondo grado di giudizio di don Mauro Galli, l’ex parroco di Rozzano condannato in primo grado con l’accusa di aver abusato sessualmente di un ragazzino che all’epoca aveva solo 15 anni, nel dicembre 2011. Il parroco è noto anche a Legnano, in quanto dopo il trasferimento da Rozzano, era stato assegnato per alcuni mesi alla pastorale giovanile. Parla la mamma di quell’adolescente, che oggi ha 25 anni: “Continuo ad andare a Messa e anche a confessarmi regolarmente, ma non riesco più a cogliere un messaggio positivo da ciò che dice la maggior parte dei sacerdoti”.

Udienza fissata al 22 giugno

La I sezione penale della Corte di Appello di Milano ha fissato per il 22 giugno, alle 9.30, l’udienza di secondo grado per don Mauro Galli. In primo grado –nel 2018 - don Mauro Galli era stato condannato a sei anni e quattro mesi per aver abusato sessualmente di un ragazzo di soli 15 anni. Inoltre, il Tribunale aveva disposto il divieto per l’ex parroco di avere contatti con minorenni e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo nel giugno 2019 ha però assolto parzialmente il parroco e gli atti del processo sono stati trasmessi alla Congregazione per la Dottrina della Fede, ma al momento non si hanno informazioni in merito.

La vicenda

Siamo a Rozzano, nel 2011. Il ragazzo, allora di soli 15 anni, trascorre la notte a casa del parroco, dormendo nello stesso letto a due piazze, in vista delle attività previste per il giorno successivo. La madre ci aveva già spiegato che “già il giorno dopo aveva detto che era successo qualcosa di brutto anche se ha raccontato in modo completo solo anni dopo, durante una terapia”. Quasi subito dopo l’accaduto, don Mauro Galli è spostato da Rozzano a Legnano, assegnato alla Pastorale giovanile. Dopo pochi mesi, il parroco viene nuovamente trasferito: prima a Milano e poi a Roma. Durante gli anni e durante il processo di primo grado le posizioni sono state diverse: da un lato, il ragazzo racconta di aver subito abusi sessuali, dall’altra il parroco conferma di aver dormito nello stesso letto ma di non averlo toccato. La conclusione del primo grado di giudizio è cosa nota e Cristina continua la sua battaglia per avere giustizia. Una battaglia fatta di azioni e di parole, affinché tutti abbiano la possibilità di sentirsi tutelati, che dura da anni.

La mamma Cristina: “Continuo ad andare a Messa ma non riesco più a cogliere un messaggio positivo”.

A trovare sostegno nel momento di maggiore sofferenza, quando non riesce più a sentirsi parte della comunità della chiesa alla quale era tanto legata, Cristina trova sostegno nella Rete L'ABUSO. Nell’associazione trova accoglienza e comprensione. Inizia così a collaborare con la Rete L'ABUSO. Sostiene le famiglie, le persone che si rivolgono alla Rete e regala loro ascolto, accoglienza, comprensione. Non smette però di parlare della sua storia, quella di una mamma che non ha smesso di lottare per il proprio figlio e che porta le cicatrici di una vicenda che ancora resta aperta. Racconta lasciando trasparire tutta la sua delusione: “A distanza di più di due anni dalla condanna in primo grado è stata fissata l'udienza per l'appello. Non ci speravamo più dopo così tanto tempo. Nel frattempo abbiamo avuto notizia dell'assoluzione da parte del Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo e non abbiamo alcuna notizia rispetto alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che - da quanto ho capito - dovrebbe valutare se il giudizio del TERL sia corretto. Per noi è una grande incongruenza: condannato dal Tribunale italiano (seppure per ora solo in primo grado) e assolto dal Tribunale della Chiesa; eppure non vi sono elementi differenti sui quali ragionare. Tristezza infinita. Proprio il suo avvocato (che è anche avvocato della Diocesi, e anche avvocato nella Commissione Diocesana per la Tutela dei minori) aveva argomentato molto bene, nella sua arringa finale in primo grado, che ciò che aveva fatto don Mauro (ovvero la sola ammissione di aver portato nel suo letto un minore) era una cosa gravissima da un punto di vista morale, che era assolutamente condannabile perché un sacerdote non può dormire con un minore, ma non vi erano rilevanze penali. E poi viene assolto proprio da chi dovrebbe giudicare ancora più in profondità proprio i peccati, la moralità”. Cristina continua con amarezza: “Dopo tutto questo faccio davvero fatica ad ascoltare i sacerdoti che parlano dal pulpito. Continuo ad andare a Messa e anche a confessarmi regolarmente, ma non riesco più a cogliere un messaggio positivo da ciò che dice la maggior parte dei sacerdoti; mi sembra tutto superficiale e scontato. Ora attendiamo l'Appello, senza grandi aspettative, in fondo non ci cambia la vita. Nel frattempo, a gennaio, l’Arcivescovo di Milano è venuto in visita pastorale nella nostra parrocchia, ci ha dedicato 8 minuti, 8 minuti di nulla”. L’adolescente di allora sta provando ora a rimettere insieme i pezzi della sua vita, lontano dai tristi riflettori di questa vicenda. Da parte nostra gli auguriamo di riuscirci e di intraprendere un percorso di vita che gli dia tutta la serenità di cui ha bisogno.


Sara Riboldi

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