Coronavirus, intervista alla professoressa Elena Pariani

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Magnago - Coronavirus, qual è la situazione? Facciamo il punto con la professoressa Elena Pariani, referente del Dipartimento di Scienze biomediche per la Salute dell’Università di Milano. Il suo Dipartimento è - insieme al Policlinico San Matteo di Pavia e all'ospedale Sacco di Milano - centro di riferimento per fronteggiare l'emergenza Coronavirus.

Le attività dei centri per l'emergenza, tra impegno totale e carichi di lavoro enormi

Il Dipartimento di Scienze biomediche per la Salute dell’Università di Milano si occupa da anni di sorveglianza di virus influenzali sul territorio. Tutto il suo personale si era già occupato della pandemia del virus influenzale, nel 2009; ma era anche stato allertato quando c'erano stati i focolai di SARS nel 2003 e di Mers nel 2013. Tutti tipi di Coronvirus, ma con un impatto più limitato. Nel 2016 lo staff di tecnici, docenti e ricercatori era anche stato attivato in una rete di sorveglianza per virus trasmissibili per via area che in alcuni casi potevano portare a delle paralisi. Le competenze acquisite nel corso degli anni sullo studio dei virus hanno fatto sì che a metà gennaio scorso l'Istituto Superiore di Sanità individuasse il Dipartimento di Scienze biomediche per la Salute come centro di riferimento per l'emergenza Coronavirus, insieme al San Matteo di Pavia - laboratorio di riferimento per le indagini sulle infezioni virali principalmente sui pazienti ospedalizzati - e all'ospedale Sacco di Milano, noto per avere un importante background in termini di malattie infettive e di emergenze sanitarie. Spiega la professoressa Elena Pariani: "All'inizio di questa situazione ci viene chiesto di essere pronti con eventuali test diagnostici da utilizzare, ma non si conosceva quella che sarà la portata della situazione". Immediatamente, lo staff del Dipartimento inizia a lavorare sui test diagnostici. All'inizio il ritmo appare sostenibile ma in brevissimo tempo il numero dei casi positivi aumenta in modo esponenziale. "L'approccio in lombardia inizialmente è di andare a tracciare tutti i contatti, con l'obiettivo di bloccare la diffusione del virus; questo però si traduce in un carico di lavoro impressionante che cade subito su questi tre laboratori; motivo per cui tutto questo diventa qualcosa di poco sostenibile da parte di tre strutture ospedaliere che si trovano ad affrontare carichi di lavoro allucinanti. Di conseguenza, vengono allertate altre microbiologie diffuse sul territorio. Trascorsi i mesi, i laboratori che sono stati attivati in questo contesto sono circa una trentina". La forza in campo è più alta ma i tre laboratori restano i centri di riferimento, continuando a occuparsi di ricerca, monitoraggio e supporto agli altri laboratori. Spiega la professoressa Pariani: "Generalmente il nostro laboratorio nell'attività di sorveglianza analizza circa un migliaio di campioni all'anno. Nell'arco di due mesi ci siamo trovati ad analizzare più di 5 mila campioni in un tempo estremamente ristretto e con un personale che è adeguato a quello che è invece l'attività che facciamo normalmente. Il personale altamente specializzato presente nei nostri laboratori - sia tecnico sia di giovani ricercatori - si è completamente dedicato a questa attività con enorme abnegazione, perché gli orari di lavoro erano e continuano a essere massacranti. Questo di fatto ha permesso però di rispondere in maniera adeguata a questa prima parte dell'emergenza". E durante la seconda fase quali saranno le attività principali? "Certamente continueremo con quella che è l'attività diagnostica, di ricerca e sorveglianza. Attendiamo comunque disposizioni più certe".

Un virus per il quale non abbiamo anticorpi

Il Coronavirus ha bloccato l'Italia, privandola anche dei contatti interpersonali. Ma è davvero così diffusivo? Come sottolinea, la professoressa Pariani, il problema vero è il fatto di non avere gli anticorpi che lo bloccano. "In realtà il tasso di riproduzione di questo virus non è poi così alto. Questo virus ha un numero di riproduzione di base che è stimato tra il 2,5-3. Questo significa che da ogni caso se ne possono generare altri due o tre casi. Non è tantissimo, se per esempio si pensa al virus del morbillo, che ha un tasso di riproduzione di base di 16-18. Certamente il Coronavirus si diffonde ma non è cosi diffusivo come potrebbe essere il virus del morbillo. Ciò nonostante ci troviamo di fronte a una situazione in cui tutta la popolazione è suscettibile. Infatti, mentre per il virus del morbillo c'è la barriera degli anticorpi - creati con la vaccinazione piuttosto che con precedenti infezioni - che blocca la diffusone, in questo caso la popolazione è completamente suscettibile. Di conseguenza, è verosimile che prima o poi sarà un'infezione che sperimenteremo tutti, fin tanto che non arriverà un vaccino che ci permetterà di tornare a una vita normale".

Il vaccino come risposta

Il vaccino sembra essere la risposta definitiva per contrastare il virus. Nel frattempo, le misure adottate dal Governo si sono dimostrate efficaci. Ma con la progressiva riapertura quali saranno le norme da seguire? Al di là delle decisioni politiche, le regole di igiene base restano. Sottolinea la professoressa Pariani: "Noi siamo il primo Paese dopo la Cina che si è trovato di fronte a questo tipo di situazione, per cui non abbiamo nessuno che ha sperimentato la situazione prima di noi. Questo rende più complessa qualsiasi scelta. Altri paesi in cui l'epidemia è arrivata con qualche settimana di ritardo hanno tratto qualche vantaggio dalla nostra esperienza. La misura del lock-down è stata certamente impopolare ma che alla fine ha portato a un risultato. Ha rallentato la malattia, permettendo al sistema sanitario di assorbire i nuovi casi che ci saranno in maniera adeguata. Bisognerà ripartire con calma e non vanificare tutto quello che è stato fatto. Prima di tornare alla normalità, è necessario seguire tutte le regole attuali, per cui evitare luoghi affollati, osservare le misure per l'igiene respiratoria e per quella generale, utilizzare le mascherine. Credo che il vaccino possa essere l'unica vera soluzione che ci porterà alla vita normale. Si sta facendo tanto anche in termini di terapia, si sta cercando di capire quali siano i farmaci che possono ridurre l'impatto grave della malattia e ben venga nel momento in cui non abbiamo nessun'altra strategia a disposizione. Però certamente l'unico elemento davvero che ci aiuterà a uscire da questa difficoltà è il vaccino".


Sara Riboldi

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