Busto Garolfo - Il grido di aiuto dei parrucchieri:
"Vogliamo supporto concreto"

parrucchiere

Busto Garolfo - Parrucchieri ed estetiste riapriranno il primo giugno, insieme a bar e ristoranti. Si potrà andare dal parrucchiere solo tramite appuntamento - in modo da rispettare il rapporto di un lavoratore per cliente - e sia il lavoratore sia il cliente dovranno indossare guanti e mascherine. A giugno però manca un mese e i parrucchieri - così come i centri estetici e molte altre attività - non ce la fanno più: gli incassi non ci sono a causa dello stop dell'attività ma le spese restano. Ne parliamo con Sara Motta, titolare di un'attività da parrucchiera a Busto Garolfo (Classe & Stile) e portavoce del gruppo di parrucchieri ed estetiste che hanno le loro attività proprio a Busto Garolfo. Sara spiega: "Dallo Stato speravo in un aiuto concreto".

Le difficoltà nel quotidiano

Già nella quotidianità, i parrucchieri fanno fatica a far quadrare i conti. Tra le spese, la gestione dei dipendenti e la pressione fiscale, le difficoltà sono tante. Spiega Sara: "Solitamente si pensa che un imprenditore viva una vita molto agiata, sia una persona benestante; si crede che sfrutti i suoi collaboratori solo perché alla sera, terminata la giornata lavorativa, il cassetto è pieno di soldi. Nella realtà non è proprio così. Da quando apriamo la porta la mattina, tantissime sono le spese che dobbiamo sostenere per tenere in piedi la baracca, tantissimi sono i problemi che dobbiamo risolvere per far quadrare i conti e gestire i dipendenti, per non parlare della pressione fiscale che ci soffia sempre sul collo. Tanti colleghi del settore arrivano a percepire un reddito inferiore ai propri dipendenti e questo è veramente triste perché tante sono le ore di lavoro che dedichiamo ai nostri clienti a cui vanno aggiunte quelle di amministrazione, gestione e programmazione etc. Tantissimi sono gli obblighi e i doveri che abbiamo nei confronti dei nostri collaboratori e verso lo Stato, ma noi non siamo tutelati".  Cosa spinge allora Sara ad andare avanti? "L'amore e la passione che ho per questo lavoro, il piacere di regalare un sorriso, la possibilità di cambiare la giornata a una persona, risolvere un problema o un inestetismo al cliente. Quello che ha sempre caratterizzato il nostro lavoro fino a una quindicina di anni fa era questo insieme alla creatività, ma a oggi questo non basta; ci devono essere una serie di accorgimenti concatenati tra loro che devono contraddistinguerti da tutti gli altri, che nessuno ci ha mai insegnato a fare e a oggi sperimentiamo quotidianamente sulla nostra pelle. Non voglio entrare in merito al discorso degli abusivi, perché rimane una situazione implacabile".

La chiusura, tra preoccupazioni e spese da pagare

Le emozioni che Sara prova da  quando ha dovuto chiudere l'attività a causa dell'emergenza sono contrastanti, sospese tra la preoccupazione per la salute e quella per far fronte alle spese, che invece restano, pronte a imbavagliare ogni attività: "Quando l'11 marzo sera è arrivata la prima conferenza stampa del Presidente del Consiglio Conte, ho realizzato la gravità della cosa. Si parlava di 15 giorni di fermo totale. La mia prima reazione è stata di pensare alla perdita economica che ci sarebbe stata per l'azienda, ma penso che la salute sia importante e vada tutelata. Mi sono detta: 'Sara goditi questi 15 giorni di riposo forzato', perché chi mi conosce sa che non mi fermo mai e sono instancabile nel mio lavoro. Da poche settimane ci siamo trovati a chiudere mesi interi. Le mie emozioni sono contrastanti: da una parte la preoccupazione dei mancati incassi e di come pagare le spese (gli affitti non sono stati bloccati, così come le bollette, i fornitori, gli stipendi dei dipendenti, l'Iva etc.) e dall'altra la paura per l'emergenza sanitaria che racconta - oltre ai contagi - numerosi morti quotidiani".

Una categoria abbandonata?

Sara - così come le sue colleghe e i suoi colleghi - sarebbero già pronti ad aprire, con tutte le precauzioni del caso. E ora si sentono abbandonati: "Giugno è troppo tardi per la riapertura, le persone hanno bisogno di tornare alla normalità, ovviamente con tutte le misure di sicurezza del caso. La nostra categoria si sente abbandonata: perché sono più importanti i musei e le biblioteche oppure la ripresa degli allenamenti per gli sport di squadra? Siamo una categoria che porta benessere e in questo momento ne abbiamo bisogno. Siamo già pronti ad affrontare la riapertura per quello che ci era stato comunicato, ovvero con dispositivi di protezione individuale per noi e i clienti, i gel igienizzanti all'ingresso e sui posti lavoro, la sanificazione degli strumenti e degli ambienti dopo ogni cliente attraverso prodotti a base di alcool o cloro. Inoltre, il materiale deve essere monouso. Queste sono alcune delle norme che dobbiamo tenere ma ben vengano, sono per la tutela della salute".

"Chiediamo un aiuto concreto"

Ora, con il prolungamento della sospensione, le attività sono davvero a rischio. E si chiedono aiuti concreti: "Speriamo di riuscire a tornare operativi con l'inizio di giugno, perché la data potrà essere slittata se la curva dei contagi aumenterà nuovamente. Io penso che questi tre mesi di chiusura porteranno tantissime attività come la mia sul lastrico, impedendo a tanti di riaprire e creando altra disoccupazione. A oggi non abbiamo avuto grandi aiuti. Questi famosi 600 euro ancora non sono arrivati a tutti e non sono sufficienti nemmeno per pagare un mese di affitto; le casse integrazioni ai dipendenti non sono ancora arrivate, le spese continuano a essere incassate e i commercialisti aumentano le parcelle per le aperture dei vari sussidi. Non trovo nemmeno corretto richiedere un prestito alla banca e avere un debito non per causa mia. Speravo in un aiuto concreto. Come è stata bloccata la nostra attività era giusto annullare e non posticipare qualsiasi tipo di spesa o poter accedere a dei prestiti a fondo perduto per poter riaprire nelle stesse condizioni di quando abbiamo chiuso". Insomma, il grido di aiuto è forte e chiaro. Sarà accolto?

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Sara Riboldi

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