Sul nostro territorio ci sono molti ponti, oggetto di attenzione da parte di cittadini e amministrazioni. A livello nazionale il crollo del Ponte Morandi e il crollo di ieri ad Aulla aumentano l'apprensione sullo stato di salute di questi manufatti infrastrutturali. Ma come si può riuscire a mantenere in buona salute i nostri ponti? Parliamo di prevenzione in ambito strutturale con Marco Cagelli, consulente del Comune di Milano per le strutture, esperto per l'edilizia scolastica per l'Agenzia della Coesione Territoriale, membro della Commissione Protezione Civile dell'Ordine degli Ingegneri e vicepresidente dell'associazione Ingegneri Prevenzione ed Emergenza – SO di Milano.
Non posso certo rispondere puntualmente, in quanto non ho dati specifici per ogni manufatto. Certo siamo terra d'acqua e di confine, quindi i ponti rivestono una grande rilevanza sia per la comunicazione locale che per quella interregionale. Per i ponti all'interno degli abitati in genere non si ravvisano grandi problematiche in quanto i carichi sugli stessi sono in genere calati nel corso degli ultimi 50 anni, a causa della realizzazione delle circonvallazioni e del trasferimento dei carichi su tali nuovi assi. Diverso il discorso per i ponti sul Ticino e sui canali lungo le strade statali: le opere sono ormai datate, al limite della loro vita utile; i carichi transitanti sono notevolmente aumentati e ormai dopo ogni intervento di riqualificazione spuntano cartelli con limitazioni di carico. Il ponte sul Ticino è stato recentemente oggetto di interventi, quello di Oleggio so essere attenzionato dall'Amministrazione comunale, il ponte della statale sul Naviglio in Turbigo mostra evidenti problemi sull'arco, mentre l'impalcato appare in buono stato di conservazione.
Vero, due sono stati realizzati in carpenteria metallica e uno in calcestruzzo armato. Questo dimostra che qualsiasi tecnologia si usi dopo un certo tempo, detto vita utile, le opere necessitano di importanti opere di manutenzione per evitare che accada l'irreparabile.
Se Enti e privati fanno ognuno il proprio compito, non ci sono rischi. I Comuni devono sorvegliare e segnalare eventuali situazioni anomale, Anas deve prendersi carico delle problematiche e scegliere se intervenire subito ovvero disporre delle limitazioni d'uso. Ma anche le società di trasporti devono fare la loro parte rispettando le limitazioni di carico e gli autotrasportatori devono stare attenti a chi sta passando in quel momento sul ponte.
E' una procedura indicata anche dalle norme tecniche delle costruzioni: quando si compiono indagini per valutare la sicurezza di una struttura e si scopre che questa non può sopportare certi carichi, si pongono dei limiti. Capita già sul ponte del Ticino, dove i treni transitano a una velocità limitata. E potrebbe capitare se vi fossero piene del Ticino come in passato, quando a volte è stato necessario chiudere il ponte.
Il problema italiano è la programmazione: solo con il crollo del Ponte Morandi si è chiesto un censimento sui ponti. E il censimento, come ben illustrato dalla Gabanelli, ha portato alla luce come di alcuni non si conosca nemmeno chi sia il titolato alla manutenzione. Anche il crollo del ponte vicino ad Aulla conferma, se ve ne fosse bisogno, la poca importanza che in Italia viene data da istituzioni e cittadini al concetto di prevenzione. Infatti anche il crollo di ieri, dalle primissime informazioni, evidenzia un deficit significativo nella valutazione della sicurezza dell'esistente. E pensare che anche nell'ultimo sisma si è dimostrata l'importanza dei ponti sulla Salaria che sono rimasti in piedi e hanno permesso il passaggio delle colonne di soccorso: fossero crollati o anche solo pesantemente danneggiati, la situazione sarebbe stata estremamente più critica. Costruirne di nuovi? Con la situazione economica cogente si fa solo dopo eventi catastrofici o per infrastrutture partecipate da privati.
Dobbiamo essere consci che le conoscenze del comportamento dei materiali deriva da quanto tempo e quante opere siano state realizzate con un certo materiale. Spesso sento dire “ai tempi dei romani non c'erano ingegneri e i ponti sono ancora lì”: ci sarebbe da ridere, se non fosse che molti poi ci credono. La realtà è che la tradizione costruttiva con mattoni ha circa 2.500 anni di storia e quindi le regole non scritte per costruire alcune opere hanno avuto modo di stratificarsi. Acciaio e calcestruzzo armato hanno meno di 200 anni di storia con norme che cambiano molto frequentemente al migliorare della conoscenza. Quindi colleghi progettisti di opere di 50 anni fa comprensibilmente possono avere sottostimato alcuni fattori a cui oggi diamo maggiore importanza. Si deve inoltre considerare il caso di opere realizzate in zone in cui i cambiamenti climatici hanno portato a cambiamenti radicali.
E' questione di determinazione: in Italia abbiamo una moltitudine di tecnici altamente qualificati che potrebbero svolgere tali attività con un approccio unitario per avere risultati uniformi. Serve quindi mettere a bilancio risorse rilevanti per questa prima importantissima fase. A valle di questa sapremo se sia meglio riparare o demolire e ricostruire.
Noi tecnici, nei vari ambiti scientifici, non ci impegniamo sufficientemente in un'opera di divulgazione dell'efficacia della prevenzione e di quanti benefici sociali ed economici possa portare. Forse con un impegno maggiore potremmo sensibilizzare meglio i cittadini al fine di portare in Parlamento rappresentanti che mettano questo concetto al centro del loro agire. Purtroppo, negli ultimi decenni le scelte avvengono in base ad altri parametri e quindi siamo destinati ad avere bisogno di eroi che soccorrono durante le emergenze e non apprezziamo coloro che segnalano i problemi prima che si arrivi alla tragedia. Forse istituendo un Dipartimento di Prevenzione Civile potremmo passare dalla gestione dell'emergenza a diffondere i concetti della prevenzione.
Redazione
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